Era il 1 maggio del 1994 quando all’autodromo di Imola durante il Gp di San Marino moriva il grande campione Ayrton Senna lasciando un grande vuoto in tutti gli appassionati di F1.

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Il pilota morì  alle 18.37 nel reparto di rianimazione, all’11° piano. Il ricordo è ancora nitido in Giovanni Gordini, 68 anni, all’epoca responsabile del 118 di Bologna e oggi direttore della Rianimazione e del Dipartimento emergenza. Ecco un estratto dell’intervista per Gazzetta.it. 

“Sono arrivato qualche minuto dopo il medico della F1, Sid Watkins. Senna respirava ancora autonomamente ma era entrato in coma: aveva perso molto sangue dalla ferita sopra all’occhio destro, oltre ad avere una frattura alla base del collo per colpa della sospensione che si era staccata dalla sua Williams. Le manovre di rianimazione erano già iniziate, ma lui non dava nessun segnale di vita. Capimmo tutti subito la gravità della situazione e decidemmo di fare scendere l’elicottero in pista per portarlo all’ospedale Maggiore. Fatto quasi unico, in F1 non ricordo dinamiche simili di salvataggio. Il giorno prima Roland Ratzenberger, pilota della Simtek morto durante le qualifiche alla curva Villeneuve, era infatti stato prima portato all’ospedale del circuito”.

Ricordando Senna. Quel giorno a Imola, con la morte in pista - Formula 1 - Automoto.it

Se le condizioni erano già critiche, sono peggiorate ancora durante il volo con l’elisoccorso?

“Senna era già stato immobilizzato, lo avevamo intubato facendogli una tracheotomia. Sull’elicottero continuava a respirare ancora con il ventilatore meccanico polmonare. Il suo cuore ha anche subito un rallentamento del battito ma siamo riusciti a farlo ripartire. Nel frattempo abbiamo allertato la dottoressa Maria Teresa Fiandri, all’epoca Primaria del reparto di Rianimazione e del 118 del Maggiore, che ha radunato tutta l’equipe medica, della quale facevo parte, per farsi trovare pronti al nostro arrivo”.

E una volta giunti al Maggiore come è andata?

“Abbiamo portato subito Senna nell’emergency room del pronto soccorso e dopo avergli abbassato la parte superiore della tuta, abbiamo controllato il livello del sangue e fatto una Tac. Lì ci sono diverse camere, noi l’abbiamo messo in quella dell’accettazione. Quindi ci siamo diretti in rianimazione all’11° piano dell’ospedale. Eravamo in 10 ad assisterlo. Dalle prime immagini abbiamo capito quanto la situazione fosse critica, la conferma l’abbiamo avuta poi con l’elettroencefalogramma: era piatto, il suo cervello non rispondeva agli stimoli elettrici. L’emorragia era troppo grande e diffusa per colpa sia della lesione al lobo frontale destro che della frattura alla base del cranio. Ricevendo poco sangue, il cervello di Senna si è spento andando in quello che noi definiamo silenzio elettrico”.

C’è qualcosa che l’ha colpita particolarmente nelle ultime ore di Ayrton?

“Senza dubbio l’ingresso in stanza di Berger. Mi fece impressione il fatto che è voluto a tutti i costi entrare per vedere un suo amico che stava morendo. Lui che era già stato ricoverato nella stessa camera nell’aprile 1989. Un gesto raro e pieno di significato. Io riuscii a parlarci poco, era di poche parole, rimase muto e addolorato in disparte. Non aveva voglia di conversare, sapeva già cosa sarebbe successo. Ricordo anche che venne il suo fisioterapista personale Josef Leberer, il manager Julian Jakobi e Watkins”.

FONTE GAZZETTA