Il 22 giugno Alex Britti festeggerà a Caracalla i suoi quarant’anni di attività con uno show, battezzato Feat.Pop, che lo vedrà omaggiare il disco che lo rese una popstar, It.Pop, uscito nel 1998. All’epoca Britti aveva 33 anni. Oggi ne ha 56. Al successo di “Solo una volta (o tutta la vita)”, il tormentone che anticipò l’uscita dell’album e che a distanza di ventisette anni Britti ha reinciso con Clementino (uscirà sulle piattaforme di streaming il 13 giugno), ci arrivò dopo una lunga gavetta:

«Fino al ’97 giravo tra Roma, Amsterdam, Parigi, Anversa, Dortmund, esibendomi ovunque mi capitasse. Quell’anno decisi di iscrivermi a Sanremo Giovani: alle audizioni ci presentammo in 28, ma solo la metà avrebbe partecipato al Festival. Arrivai quindicesimo: niente da fare. Trovai lavoro come chitarrista della band di Irene Grandi. Ma proprio quell’estate esplose “Solo una volta (o tutta la vita)”. La pubblicammo all’inizio dell’estate e scalò le classifiche di settimana in settimana. Il successo mi prese alla sprovvista, ma l’aver fatto quella lunga gavetta mi protesse dai suoi lati oscuri. E poi io cercavo la mia, di popolarità: volevo che ad essere popolari fossero le canzoni».

Era un’altra epoca, quella: le carriere si costruivano dal basso, singolo dopo singolo, tappa dopo tappa. Oggi le tappe si bruciano: in una manciata di mesi si passa dalle camerette alla tv, dalla tv alla vetta delle classifiche. Non sempre si è pronti per fare subito un salto del genere:

«I casi di Sangiovanni e Angelina Mango? Il sistema talent show fa sì che in quei mesi che sei li dentro le ragazzine si affezionino a te solo perché sei il partecipante del talent. Poi finisce tutto e dopo sei mesi ti ritrovi a non essere più cercato da nessuno. La riconoscibilità sparisce. Si parla di loro perché a differenza di altri ce l’hanno fatta a raggiungere certi traguardi, ma è pieno di ragazzi finiti in analisi perché hanno avuto una parvenza di successo, poi svanito. Manca preparazione», si rammarica Britti.

E che le scorciatoie «non portino a nulla nella vita» il cantautore romano lo ribadisce parlando della corsa ai grandi spazi, che si tratti di palasport o degli stadi:

«Il problema è che noi artisti siamo piacioni. Arriva l’agenzia o il manager di turno, e i manager, si sa, sono tutti spietati, e ti propongono di fare un concerto in uno stadio: che fai? Successe anche a me: mi proposero di fare un grande tour nei palasport. Io all’epoca avevo trent’anni ed ero strutturato mentalmente per rifiutare, conoscendo i rischi. Ma un ragazzino non ha quella struttura mentale. Non sa che poi se non riempie San Siro deve fare trenta concerti gratis per ripagare le aziende che avevano investito».

Britti parla anche dei nomi dei giovani cantanti in voga oggi.  Su Lucio Corsi dice:

«Bravo, è un cantautore, ma un cantautore di oggi: molto Instagram. Arriva prima il suo personaggio, la sua faccia truccata di bianco, c’è un grande lavoro anche di immagine. Io faccio parte di un’altra generazione e se mi parli di cantautori non penso a Lucio Corsi: e voglio continuare a pensare a De Gregori».

Delle nuove generazioni la voce de “La vasca” stima Alfa:

«Lo trovo pulito. E genuino. Scrive canzoni molto dirette, che apparentemente sono semplici, quasi banali, ma che nasconde una sana positività. Lo canto sempre in casa insieme a mio figlio Edoardo (nato nel 2017 dall’unione con l’ex compagna Nicole Pravadelli, con la quale si è separato nel 2019, ndr)».