Quanto sono belli i film con uno spiazzante colpo di scena finale? Quanto è bello a tal proposito Schegge di paura? Il film con protagonisti Richard Gere, Edward Norton e Laura Linney è uno dei più brillanti esempi di legal drama più riusciti degli anni ’90 in grado di lasciarti con un misto di soddisfazione e turbamento. La storia, se lo avete visto, la ricorderete sicuramente: il brillante avvocato penalista Martin Vail (Gere) decide di difendere il diciannovenne chierichetto balbuziente Aaron Stampler (Norton), sul quale pende la tremenda accusa di avere ucciso con settantotto coltellate l’arcivescovo di Chicago Richard Rushman. Martin è l’unica persona a credere nell’innocenza del ragazzo, nonostante nella scena del crimine ogni prova raccolta mostri Aaron come unico indiziato e partecipe al delitto. Aaron soffre di brevi perdite di memoria dall’età di dodici anni e quindi non riesce a fornire al suo avvocato un riepilogo dell’accaduto, ma racconta solo di aver visto una “terza persona” prima dell’omicidio. Comincia il processo più atteso del momento e l’accusa di Aaron è capitanata da uno stretto amico dell’arcivescovo Rushman, il procuratore distrettuale John Shaughnessy; il pubblico ministero è una vecchia fiamma di Martin, Janet Venable.

Il finale

Schegge di Paura ha uno dei plot twist più belli mai realizzati: alla fine si scopre che in realtà Aaron, o meglio Roy, non soffre affatto di doppia personalità ma ha costruito tutto allo scopo di ottenere l’infermità mentale e quindi evitare il processo a suo carico. Nell’ultima scena, scoperto l’inganno, Martin, sconsolato e afflitto, si allontana dal Tribunale.

Pensate che il regista e i produttori avevano preso in seria considerazione l’idea di far finire il film diversamente, ovvero con Aaron incolpato e Martin “vittorioso”. Le cose non andarono così per volere proprio di Richard Gere. A raccontarlo è stato Edward Norton in una recente intervista che vi abbiamo riportato qua:

Lavorare con Richard Gere è stata una delle cose più fortunate che mi potesse capitare. Lui era un veterano, un po’ come succede nel film Training Day. Era un grande compagno, ti aiutava nelle piccolezze, ti indirizzava. Un grande, davvero.

Ci sono state molte discussioni riguardo il finale del film, se lui dovesse uscirne vincente o meno. Se gli stava bene che il suo personaggio prendesse quel brutto colpo e venisse messo a tappeto da un ragazzino. Richard Gere in persona fu uno di quelli che si impuntò affinché ciò accadesse. Non voleva vincere. Sapeva che in un certo senso che una delle cose belle del suo ruolo era proprio che un uomo arrogante e raffinato potesse essere sconfitto così da un ragazzino.