Dopo lo straordinario successo ottenuto nel 1982 con Borotalco (che si era aggiudicato ben 5 David di Donatello), Carlo Verdone faticò un po’ a trovare il nuovo spunto per il suo film successivo. “Come facciamo a replicare il successo di Borotalco?” si domandò? “Raccontando un’altra favola”.

Nasce con questo intento Acqua e Sapone, il cui spunto, lo racconta sempre Verdone in una delle sue varie interviste, è arrivato per caso.

Dopo settimane e settimane di tentativi una sera vidi in tv un reportage del compianto professor Carlo Sartori, che indagava su una nuova tendenza nel mondo della moda di quegli anni in America: le baby modelle.
Filmò varie storie di ragazze tra i 15 e i 17 anni che alternavano gli studi scolastici con servizi fotografici per grandi e medi stilisti o per industrie di cosmetici. Era l’epoca di Brooke Shields, per intenderci. 
Le madri erano sempre presenti, orgogliose di quello che stavano facendo le figlie: ognuna si augurava che la propria figlia potesse diventare una top model.
Ma c’era molta tristezza nelle interviste che queste ragazzine rilasciavano, si percepiva come una sorta di stanchezza fisica enorme e anche una notevole confusione nelle loro risposte: tutte davano l’idea di non saper più cosa essere, se una studentessa minorenne o una star.
Guardando questo reportage pensai ad una favola che condusse me, Enrico Oldoini e Franco Ferrini a provare a buttare giù qualcosa, e ben presto venne fuori l’idea di “Acqua e Sapone”. Una commedia degli equivoci tra un bidello che vuole solo guadagnare qualche soldo e una ragazzina. Una favola. 

Quando scrivemmo il film ero convinto che era molto carino, ma lo reputavo inferiore a “Borotalco”. Ora non si può toccare al pubblico, è amatissimo. Tuttora ritengo che “Borotalco” sia scritto meglio, ma “Acqua e Sapone” funziona benissimo. È così delicato.

Il casting di Natasha Hovey

Sempre Carlo Verdone racconta come scelse la protagonista, Natasha Hovey, per il ruolo di Sandy Walsh:

Dovevo trovare una ragazzina con un viso americano, ed era difficile. Il destino mi è venuto incontro. Dopo un’infinità di provini mi capitò dal mio agente una fotografia di una ragazzina che non era stata presa in considerazione in quanto troppo giovane: era nella cartella con scritto “Solo per pubblicità”. Il viso mi colpì e chiesi di farla venire in ufficio: fu accompagnata dalla madre, che era olandese, mentre il padre americano. Appena vidi la ragazzina sulla porta la salutai, le chiesi quanti anni aveva e dove andava a scuola. Mi risponde “Nazareno”, che era la mia stessa scuola!

Aveva degli occhi e labbra bellissimi, non era perfetta ma aveva un gran volto. E per il cinema, che è fatto di primi piani, è tutto. Chiesi di farle fare un provino. Lei non aveva mai fatto l’attrice. Avevo trovato altre tre ragazzine di quell’età. Furono i provini più faticosi della mia vita, dovevo dare il massimo come regista perché loro non avevano mai recitato. Alla fine Natasha superò il provino con la sufficienza, era così timida. Dovevo stare attento, l’ho seguita dal migliore dei modi. È stata doppiata, nel suo accento si sentiva l’americano e l’olandese, oltre all’italiano. Ero sempre in apprensione, non volevo sbagliare niente. Lei comunque giorno dopo giorno si scioglieva e acquisiva sicurezza.