“Madonna benedetta della ribalta di Cerignola fai segnare il gol ai viola” e Juventus Catania 1-2 vi dicono qualcosa?

Parliamo ovviamente de “Al bar dello sport”, l’iconico pellicola del 1983 con protagonisti Lino Banfi, Jerry Calà e Mara Venier, diretta da Francesco Massaro, che ne ha curato la sceneggiatura insieme a Enrico Oldoini, Franco Ferrini ed Enrico Vanzina. 

Lino, uno squattrinato emigrato pugliese a Torino, è ospite poco gradito in casa della sorella e del cognato. Fidanzato con Rossana, una bella e attraente cassiera, ed amico del ragazzo muto detto Parola, che fa lo sguattero al Bar Sport, una mattina nello stesso bar, mentre Lino compila una schedina, Parola gli suggerisce di inserire il “2” in Juventus-Catania, Lino, dapprima riluttante, alla fine si lascia convincere, e, grazie al consiglio di Parola riesce a fare un tredici al Totocalcio da 1 miliardo e 300 milioni di lire.

Lino, lasciato dalla fidanzata che non sa che è lui il vincitore che tutti cercano, braccato dagli amici Gaetano, Ciccio e Leo che vorrebbero regali e da Don Raffaele, un boss mafioso che pretende 130 milioni di interessi, fugge con Parola verso la Costa Azzurra, nascondendo il denaro nella ruota di scorta della macchina; tuttavia, fermandosi a Sanremo, Parola si lascia tentare dal gioco e perde tutti i soldi di Lino al casinò. Ma la fortuna è ancora dalla loro parte e alla fine con l’ultima fiche vinceranno tre miliardi di lire e Parola ricomincerà a parlare.

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Il cast: Banfi, Calà e Venier

“Al bar dello sport” è amatissimo ancora oggi, con un Lino Banfi al top della sua carriera (da lì a poco usciranno Occhio Malocchio Prezzemolo e Finocchio e L’allenatore nel Pallone), spalleggiato da Jerry Calà in un ruolo inedito, quello del muto, senza i suoi classici tormentoni, e per questo reso ancora più interessante. Insieme a loro, la bella Mara Venier, che all’epoca aveva già una discreta carriera come attrice, cominciata nel 1973 con il film Diario di un italiano e proseguita con varie commedie all’italiana come Testa o croce (1982) di Nanni Loy in cui affiancò Renato Pozzetto.

Durante le riprese di “Al bar dello sport”, Mara Venier e Jerry Calà erano già una coppia. Secondo quanto raccontato da Jerry, fu proprio lei a a convincerlo ad accettare il ruolo di Parola.

“Credo che la donna più bella e importante della mia vita sia stata Mara” – ha raccontato Jerry Calà in una recente intervista a Il Fatto Quotidiano” per i suoi 70 anni – “Quando abbiamo fatto ‘Al bar dello sport’ già vivevamo insieme. Io quel film dove interpretavo il muto Parola non lo volevo fare. Tutta l’Italia ride alle mie stronzate e io faccio il muto? Mara mi convinse invece a farlo, mi fece capire che era una grande opportunità. Mi misi a frequentare un gruppo di sordomuti. Mi guardai i film dei fratelli Marx, Tognazzi in Straziami ma di baci saziami. Venne fuori una delle mie interpretazioni più lodate.

 

Il rifiuto iniziale

Nel suo libro, Una vita da Libidine, Jerry Calà ha descritto nel dettaglio quel momento, quando non voleva prendere parte al film:

Dopo Sapore di mare il mio futuro prevedeva un contratto che mi legava alla Dean ancora per un certo numero di film, il primo dei quali era una pellicola in coppia con Lino Banfi. Anche Lino era stufo del solito cliché in cui era stato rinchiuso, quello del pugliese buffo e del marito cornuto. Ammiravo molto Banfi e l’idea di lavorare con lui mi esaltava. C’erano tante cose che mi avrebbe potuto dare artisticamente, e altrettante che io avrei potuto dare a lui. Da quello scambio sarebbe nato un film, Al bar dello sport, che già aveva tutte le carte in regola per essere un successo. C’era solo un problema: leggendo il copione mi resi conto che il mio personaggio era muto.
«Cosa? Siete pazzi?», dissi ai produttori. «C’è tutta l’Italia che parla come me, che dice libidine e doppia libidine, prooova, capìttooo! Tutti si aspettano il prossimo tormentone. E io dovrei fare un film muto?»
Fui irremovibile, anche quando mi fecero notare che avevo già firmato il contratto per il blocco di film che mi impegnavo a girare. Niente da fare, continuai a dire di no.
Vennero a trovarmi a casa gli sceneggiatori – i quali tra l’altro erano anche amici – Enrico Oldoini ed Enrico Vanzina, che cercarono di farmi capire che sarebbe stata una grande occasione per dimostrare che sapevo recitare anche senza raccontare stronzate. Erano amici, appunto, e con loro parlai chiaro: «Se faccio il muto faccio soprattutto un favore a Banfi che può dire tutte le sue battute conquistando il pubblico. E io? Sto lì a fare due faccette? Non se ne parla. No». Per non presentarmi agli incontri che la produzione continuava a fissare mi detti persino malato, spalleggiato da Mara Venier, con la quale convivevo e che rispondeva al telefono con la voce preoccupata: «Ah… Jerry ha un febbrone, non può assolutamente uscire di casa!»
Alla fine mi sfransero talmente le palle che dissi di sì. Pretesi però che l’handicap del personaggio fosse alleggerito: era diventato solo muto, e non sordomuto, dopo uno choc, e per questo era stato soprannominato «Parola». E alla fine del film recuperava la voce.

La preparazione al ruolo di ‘Parola’

“Decisi di affrontare la prova in modo superprofessionale, all’americana. Mi preparai secondo il metodo Strasberg! Presi contatto con un gruppo di ragazzi sordomuti per studiare il loro modo di comportarsi, di vivere e di esprimersi. E mi vidi a raffica Straziami ma di baci saziami, il film in cui Ugo Tognazzi recitava la parte di un sarto muto.
Una delle prime volte i ragazzi sordomuti vennero a casa mia per conoscermi. Mara era gelosissima di me, e francamente aveva ragione a esserlo! Ero un po’ troppo birichino… I ragazzi suonarono al citofono. Mara andò a rispondere: «Chi è?»
Nessuna risposta, ovviamente. Allora Mara esplose: «Ecco, te o vedi! Sarà una delle tue sciacquette che la viene a sonar el campanel e la scapa perché ga sentio la mia voce… Perché tu… tu… tu sei un puttanier!»
Almeno quella volta ero innocente, e cercai di difendermi da quelle accuse. Suonarono di nuovo, mi affacciai e vidi quel gruppetto di ragazzi sordomuti che faceva grandi gesti per farsi aprire il portone.
«Mara! Che figura di merda che mi hai fatto fare!»
Anche lei era imbarazzata; corse giù ad accoglierli e non sapeva più cosa fare per farsi perdonare da loro e da me”