Carolina Castagna, figlia del giornalista e conduttore Alberto, scomparso nel 2005 a 59 anni, ha rilasciato una nuova intervista al Corriere della Sera nella quale ha ricordato con grande affetto l’uomo e il papà che è stato. Carolina, unica figlia di Alberto, ha oggi 31 anni, fa il medico, vive tra Philadelphia e Roma, dove lavora al Policlinico Gemelli per la specializzazione in Igiene e Medicina preventiva. In quello stesso ospedale, diciotto anni fa, moriva suo papà per un’emorragia interna.

Qui un estratto di intervista, nella quale ricorda tanti momenti vissuti insieme.

Che padre era, Alberto?

«Per spiegarlo non basterebbe un libro. Complicatissimo. Affettuoso e presente, ma anche molto ragazzino, impaurito dall’idea di essere genitore. A volte, tra noi due, l’adulta ero io. Era già malato, i dottori gli avevano dato la lista degli alimenti che non poteva mangiare. Tipo le pesche, che contenendo molto potassio gli alteravano l’equilibrio degli elettroliti ed era un guaio. Lo beccai in cucina a mangiarle di nascosto. Oppure si chiudeva in bagno a fumare e prima di uscire spruzzava in aria il patchouli. Se lo rimproveravo, sospirava: “Non ho una figlia, ma una badante”. La bacchettona di famiglia, fissata con le regole, sono sempre stata io. Mamma (la dermatologa Pucci Romano) lo copriva. Erano già separati. In coppia erano un match terribile, da amici e genitori invece fantastici. Si scambiavano le ricette delle polpette: “Però sono meglio le mie”».

I vostri momenti felici.

«La mattina presto, seduto su una spiaggina in riva al mare, con me in braccio, mi insegnava le correnti, i venti, le maree. Mi interrogava: “C’è libeccio o maestrale? Si può uscire in barca?”. Voleva che diventassi un bravo mozzo. Due anni fa ho preso la patente nautica, sarebbe contento».

Severo o pezzo di pane?

«Buonissimo, a livelli imbarazzanti. Pur di accontentarmi mi avrebbe concesso qualsiasi cosa e non parlo per forza di regali. Una sera gli dissi, dal nulla: “Vorrei andare a cavallo”. Il giorno dopo mi portò al maneggio. Mi aveva preso tutta l’attrezzatura. Dopo un po’ mi scocciai: “Voglio scendere, non mi piace”. E andammo a giocare a bowling».

Gliele dava tutte vinte.

«Gli chiesi di comprarmi 50 mila lire di caramelle Goleador, nei tre gusti: cola, frutta e liquirizia. Il tabaccaio ci prese per matti. Papà non fece una piega, saranno state sette chili, mi durarono un anno. Mi viziava. Non mi chiamava “principessa”, però mi trattava come se lo fossi. Mi ha insegnato la leggerezza. Cerco di essere come lui».

 

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Un no lo avrà pur detto.

«A 12 anni volevo andare tre settimane in Inghilterra a studiare l’inglese. Mamma era d’accordo, lui no. “Sei troppo piccola”. L’unica volta in cui abbiamo discusso. Aveva paura che ci fossero i ragazzi. Era molto geloso. “Prometti che ti fidanzerai solo a 37 anni”. Non un bell’augurio». Carolina ride. Si è sposata un mese fa con un ragazzo americano. «Non sopportava l’idea che mi piacesse qualcuno».

L’ultimo ricordo che ha di lui.

«Poco prima che morisse. Ero appena diventata “signorina”, stavo da lui, ma papà fu preso dal panico. Mamma al telefono gli raccomandò di andarmi a prendere il necessario in farmacia, lui si vergognava. “Pucci, però il discorsetto dopo glielo fai tu, eh”. Uscì ma tornò a mani vuote. A parte un cd di Tiziano Ferro».

 

 

 

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