In una lunga intervista su Corriere.it, I Jalisse hanno voluto raccontare la loro versione dell’esclusione da Sanremo che oramai avviene da più di 25 anni. Ecco un estratto:

Ricci, avete riflettuto su quali possano essere le ragioni dei continui dinieghi ricevuti?
«Ci chiediamo tuttora il perché. Venticinque pezzi respinti in un quarto di secolo..Possibile che nessuno sia piaciuto? Da cantautori, ogni anno abbiamo pensato di proporre un brano a Sanremo, per avere una gratificazione professionale, ma anche un palco importante da cui far conoscere i nostri pezzi. Non ci è stata data questa opportunità. Credo che sia dovuto a un pregiudizio forte, che ci etichetta e ci colloca in un momento storico preciso e non ci dà l’opportunità di muoverci da lì».

Messa così, sembra quasi che «Fiumi di parole», a cui è legato il successo del duo Jalisse, non sia stato un bene per la vostra carriera.
«Assolutamente no. Vincere Sanremo nel 1997 è la cosa più grande che ci sia mai successa. Questa canzone è diventata di tutti e il Festival ci ha fatti conoscere».

Qualcuno vi dipinge come «meteore» della musica italiana. Sentite di esserlo?
«Ci chiamano desaparecidos, e questo ci ferisce. Non siamo noi che non vogliamo comparire, semplicemente veniamo respinti, non ci viene data la possibilità di esibirci sul palco e far conoscere la nostra musica. All’estero abbiamo avuto una forza in più. Siamo stati in Kazakistan, Sud America, Spagna, a Mosca insieme per l’Enit, all’ambasciata italiana. Nella playlist della United Airlines, che vola da Los Angeles a New York, c’è il nostro album, mentre in Italia non hanno mai passato nelle radio principali le nostre nuove uscite».