Un nostalgico Max Pezzali ospite a Top 10 racconta gli anni ’90 e stila una sua personalissima classifica di quegli anni:

Al primo posto metterei il cellulare, il telefono cellulare quello vecchio, non so se ti ricordi, è arrivato con Italia ’90, pesava sui quaranta chili e aveva due minuti di autonomia. Al secondo posto metterei la segreteria telefonica, quando si chiamava a casa una ragazza e si trovava la segreteria telefonica della famiglia e dovevi parlare, senza sbagliare, in 30 secondi. Al terzo posto, i deodoranti da macchina,  l’alberino profumato che in quegli anni arrivava con delle profumazioni diverse. Tipo alla vaniglia. Era nauseante.”

Pezzali continua con il capo di abbigliamento più classico, con la musica e con la città: 

“Secondo me è il chiodo, che ciclicamente torna di moda e che rimane un classico. Negli anni ’90 hanno iniziato a far quelli più corti, tanto che se non avevi i jeans a vita alta ti rimaneva sulla panza. L’artista invece che ha più condizionato gli anni ’90 sono stati i Nirvana, coi primi album hanno spazzato dalle classifiche Michael Jackson e rilanciato il rock. Proprio negli anni novanta ho scoperto Roma, una città che per me rappresenta quegli anni.”

Il cantante, che ha recentemente pubblicato il libro “Max90” dedicato ai mitici anni ’90 in cui ha raccontato un decennio unico, ha raccontato ad “Esquire” che la cosa che gli manca di più di quegli anni è:

“L’idea dell’oblio, che poi oblio proprio non è, ma è quell’idea della possibilità dell’irreperibilità. Il fatto che anche i pochi che all’epoca avevano un telefono cellulare, per esempio, avessero quantomeno la facoltà di spegnerlo senza risultare inadeguati o persino maleducati. Oggi se non rispondo al telefonino sono uno a cui non interessa abbastanza qualcosa. Questa è la tipica cosa che abbiamo ereditato da un certo mondo corporate americano, tutta quella cosa delle email push, o adesso o mai più, mandare i pdf alle dieci di sera come se non si potesse avere una vita privata, come se mandare quel file alle nove del mattino seguente cambiasse le cose. Ecco, mi manca quando tutto questo che allora non c’era. Mi manca la non immediatezza, una certa lentezza anche delle cose, la possibilità di perdersi.

E poi la rivelazione:

“Se potessi tornare indietro? Sceglierei il 1993. Quello è stato un anno strepitoso.”