Nell’intensa autobiografia “Il bello di vivere due volte” uscita il 30 marzo scorso, Sharon Stone ha messo tutta se stessa, raccontandosi a 360 gradi. Tanti gli aneddoti descritti tra le pagine del libro, sia personali che professionali. Tra questi, uno riferito alla sua preparazione per Difesa ad oltranza – Last Dance, film basato sulla storia vera di Karla Faye Tucker nel quale interpreta una detenuta accusata di duplice omicidio. La Stone contattò il carcere per avere una corrispondenza con una detenuta che voleva incontrare al termine delle sua giornata di prigionia. L’esperienza – racconta l’attrice – si rivelò delle più difficili. 

Non appena arrivata, fui perquisita da capo a piedi e in ogni orifizio del mio corpo: naso, orecchie, ano e vagina. Poi mi tolsero di dosso tutto ciò che avevo, compresa la dignità, mi misero le manette ai polsi e i ceppi alle caviglie e in quello stato dovetti attraversare diversi corridoi della prigione. 

Il direttore mi aveva assicurato che la mia identità non era trapelata, ma mentre superavo le altre celle, il percorso sembrò diventare sempre più lungo, a causa del baccano provocato dai colpi sulle sbarre e dalle urla che si levavano in mio onore, del tipo: «Vaffanculo, Sharon Stone, puttana». Nel tragitto le catene ai piedi cominciarono anche a scorticarmi le caviglie. 

Le mie vicine non apprezzavano la nuova compagnia e il coro di ‘vaffa’ mi accompagnò per tutta la mia permanenza: quando usai il wc di metallo senza sedile, quando mi accucciai sul letto di ferro dove non potevi stare seduta senza picchiare la testa sulla cuccetta di sopra. […] La cella era troppo piccola per camminarci in tondo, faceva freddo , troppo freddo per riuscire a riscaldarsi con l’unica coperta grezza su quel materasso sottile. Ma stiamo parlando del braccio della morte, mica di un albergo a cinque stelle.