Alberto Angela tornerà su Rai 1 la sera del 25 dicembre con lo speciale ‘Stanotte a…’, dedicato alla città di Parigi. In un’intervista a Repubblica, il divulgatore ha parlato così dei suoi ricordi del Natale festeggiato in famiglia.

«Sono nato a Parigi ma siamo andati via quando ero piccolissimo, non ricordo niente. Poi siamo stati quattro anni in Belgio. La prima parte della mia infanzia è stata in bianco e nero: non c’era mai il sole».

«Da bambino era il profumo dell’abete in casa, gli aghi dei rami si infilavano nei calzettoni di lana, le palle di vetro fragili che si rompevano e dovevi stare attento alle schegge. Essendo il più piccolo tutto mi sembrava grande: l’albero immenso, i regali enormi, i tavoli alti. Gli stessi che, quando cresci, ti arriveranno alle anche. Era come stare dentro una favola. Festeggiavamo il 24 sera».

Suo padre rispettava le tradizioni?

«Era il classico Natale, sì. Fino ai 5, 6 anni era incantato, intorno agli 8, credo, scoprii che Babbo Natale non esisteva. Però era tutto in sintonia, abitando al nord: con la neve, le slitte, quello classico da cartolina. Alcune volte tornavamo in Italia dai nonni. Ho avuto la fortuna di viverlo con l’emozione e poi quando ero piccolo non c’era tutto questo consumismo, non c’erano Internet e Amazon».

Si sente vintage?

«Posso dire che il mio era il Natale del 900, con le candele sul tavolo. Con mia sorella scartavamo i regali la mattina, non la sera. E ricordo ancora la curiosità, una gioia incredibile: che troveremo sotto l’albero?».

Suo padre Piero regalava microscopi, libri?

(Ride). «No, il trenino. La cosa più brutta è vedere al mercatino quello che ricevevi da bambino avvolto nella bambagia, perché è diventato un pezzo di modernariato. E tu con molta filosofia guardi e prosegui».

Ha provato la sensazione di essere diventato vecchio?

«Non siamo noi che cambiamo, ma il mondo intorno a noi. Uno non invecchia mai. Consiglio di avere gli stessi occhi sognanti, per non perdere l’incanto natalizio».