È il film che forse ha messo meglio in mostra le doti “non solo comiche e fantozziane” di Paolo Villaggio, Io speriamo che me la cavo, la pellicola del 1992 diretta da Lina Wertmüller. Un film diventato simbolo degli anni Novanta che ancora oggi occupa un posto speciale nel cuore di tantissimi spettatori. 

Già il romanzo, dal quale è stato tratto il film, fu una rivelazione e divenne ben presto un best seller, scritto da Marcello D’Orta, scrittore e mastro elementare che realizzò una raccolta di temi scritti da bambini di una scuola di Arzano. A differenza del libro, la pellicola non è ambientata ad Arzano, per ragioni di diritti d’autore, bensì nell’immaginario paesino di Corzano, vicino Napoli. La storia ce la ricordiamo tutti: il maestro elementare Marco Tullio Sperelli (Paolo Villaggio) viene trasferito per errore alla scuola De Amicis di Corzano, anziché a Corsano, nella sua Liguria. Sin dal suo arrivo l’insegnante si trova a dover fare i conti con una realtà fortemente problematica: i bambini, tutti con difficoltà economiche più o meno pesanti, non frequentano regolarmente la scuola perché costretti a lavorare. Dopo una non facile ambientazione, Sperelli capisce di poter essere l’unica speranza per questi  bambini,  facendogli capire che la possibilità di una vita diversa esiste e che può partire anche dalla scuola.

Grandi protagonisti insieme a Paolo Villaggio sono i piccoli interpreti, tutti rigorosamente napoletani. Tra loro, per citare i più ricordati, ci sono Ciro EspositoAdriano PantaleoLuigi L’Astorina, Maria Esposito, Carmela Pecoraro e Mario Bianco (CLICCA QUA PER SCOPRIRE COME SONO DIVENTATI).

Il ricordo di Paolo Villaggio

Ciro Esposito, l’unico insieme ad Adriano Pantaleo ad aver proseguito la carriera d’attore, ha tanti ricordi piacevoli legati a quel film, nonostante siano passati 30 anni. In seguito alla morte di Villaggio, raccontava in un’intervista a Fanpage:

«Ci aspettavamo Fantozzi, ma Paolo era tutto tranne il Fantozzi che ci aspettavamo noi. Era una persona molto seria, precisa, poco goffa, molto seriosa. Conoscerlo dal vivo e capire che era un uomo totalmente diverso dal personaggio che ha sempre interpretato e che l’ha reso famoso, faceva strano, soprattutto agli occhi di un bambino di 8 anni»

 

Ecco cosa ha raccontato in una vecchia intervista a “La voce dello schermo”:

«Ho tantissimi aneddoti. Io ho avuto la fortuna di lavorare spesso a stretto contatto con lui, avendo molte scene da soli, e mi sono goduto il grande artista che era in maniera più tranquilla e più pacata. Stando sul set con quattordici pesti, il set a volte poteva diventare ingestibile. Invece, stando da solo con lui sono riuscito a capire la sua sensibilità, pur essendo piccolissimo. Ricordo che gli venivano le voglie e spesso arrivava il catering. Una volta portavano le crocchette, una volta le palle di riso e altre pietanze particolari. A lui piaceva mangiare e molte volte offriva sul set».