Partiamo dal fatto che i trailer e le sinossi di questo film spoilerano con troppa leggerezza il punto di snodo della trama. È inconcepibile, poiché non è il motore del film, come potrebbe esserlo per un supereroe che trova i poteri o Indiana Jones che si mette alla ricerca di qualcosa: è una svolta che funziona solo dopo aver visto la prima ora di film, e partiamo proprio da questa. Zemeckis ci cala dall’alto con il paracadute insieme a Brad Pitt, in questa spy story vecchio stile. Ci troviamo a Casablanca nel 1942, dove due spie (Pitt e Marion Cotillard) devono assassinare l’ambasciatore tedesco. Dicevamo di questa prima ora di film: bellissima. Narrazione, alchimia tra i due, regia e pathos, formano un primo tempo calibrato bene, e già di suo con un certo senso di completezza. Poi inizia la seconda parte, che si svolge a Londra. Il film rallenta ma solo perché perde il senso di “missione in corso” che teneva alta l’attenzione. Cominciamo nel dire che “Allied”, quindi, non è una semplice “spy story” ma ha molto di più. La seconda parte essenzialmente è romantica, parla di sentimenti, d’istinto di sopravvivenza, ma diverso da quello provato in guerra: è un sopravvivenza del cuore che va contro la testa. Brad Pitt è stato scelto bene, il ruolo da Canadese tutto d’un pezzo gli si addice, anche se a livello espressivo poteva dare di più. Tanta roba invece Marion Cotillard, bravissima in qualsiasi sfumatura.

Dà il giusto carico emotivo alla scena. Alla fine comunque è come il film richiedeva: lui bello, osso duro, affascinante ed operativo, lei invece portatrice di bellezza europea, sensuale, e con un tono da femme fatale. Funzionano. Il film perde punti invece, sotto il profilo della messa in scena: costumi e scenografie ottime, ma c’è troppa post-produzione nei colori, nei primi piani dei protagonisti e nelle scene di guerra aeree. Viene reso tutto più leggero, e purtroppo viene a mancare la forza effettiva del dramma. Come se si sentisse la presenza di una vetrina fra lo spettatore ed il film. “Allied” è un bel film, semplice nella pretesa e forte nel momento della visione. Zemeckis fa il suo e lo fa come al solito con pulizia, regolarità ma comunque con molta prestanza visiva. Ottimo lavoro.

Il suo modo di girare mi mette un dubbio: questa è un storia che poteva essere raccontata con toni molto più cupi, lenti e drammatici in due ore e mezza. Robert Zemeckis la rende più posticcia, scorrevole, in due ore. Quale approccio sarebbe stato più adeguato? Una storia del genere, avrebbe colpito di più l’opinione della critica se fosse stato realizzato in un altro modo, con un altro regista? Ma è un ragionamento che potrebbe essere fatto su una marea di film. Ce lo teniamo così che funziona comunque.

Recensione di Massimo Bulgarelli