Roberto Baggio ha rilasciato una lunga intervista su Vanity Fair in cui ha raccontato come si è evoluta la sua vita dopi l’addio al calcio. Il giornalista d’eccezione è stato Cesare Cremonini.

Ecco un picco estratto della sua dichiarazione:

La solitudine e il vivere lontano dai riflettori. Sono pochissimi i grandi che hanno resistito alla lotta perenne con il proprio ego e il bisogno di ognuno di noi di restare vivi anche attraverso gli occhi degli altri, dei fans, dell’opinione pubblica, una volta scesi dal palcoscenico. Mi ricordi Lucio Battisti, sotto questo aspetto. Però in te ho visto qualcosa di diverso. Non solo un rifiuto, ma la necessità di un uomo di darsi un’altra possibilità. La scelta del buddhismo e dell’impegno sociale hanno rappresentato anche questo per te?

«Vivo la famiglia, vedo crescere i figli, mi dedico alla mia terra, parlo con gli amici. Posso dirmi fortunato, so che per tutti non è così ed è proprio per questo che bisogna nutrire un profondo rispetto per la vita, non disperdere il bene che hai ricevuto. Nel far ciò, non vedo nessun rifiuto, nessuna rinuncia, anzi. Cerco di vivere con passione la mia vita, faccio quello in cui credo e ho sempre creduto. Mi guidano i valori che sono gli stessi di quando ero ragazzo. Forse ora sono un po’ più saggio: l’esperienza, certificata da questi capelli bianchi, ti aiuta a capire meglio, e ti permette di tentare di essere d’aiuto per i più giovani. Certamente la fede buddhista mi ha aiutato moltissimo nel diventare consapevole di quanto tutto dipenda da noi e dalle cause che mettiamo ogni giorno nella nostra preziosa vita. E soprattutto nel provare immensa gratitudine per quanto ho ricevuto, gratitudine che manifesto cercando di aiutare chi è rimasto più indietro per ragioni diverse. Tutto questo rende l’allontanamento dal palcoscenico privo di traumi o dipendenze. Si può fare moltissimo anche senza riflettori. E, per una persona timida e riservata come me, credimi, è molto meglio… Diciamo che c’è un tempo per la luce e un tempo per stare nel cono d’ombra. Non c’è la luce senza la notte».

Sei stato l’eroe sportivo per milioni di persone in tutto il mondo. Chi sono stati invece i tuoi eroi di gioventù e quali invece ora?

«Quando ero bambino e poi adolescente, negli anni Settanta, non c’erano tutte le opportunità di oggi per scegliere i propri eroi. Poche partite, pochi fumetti e poi per me, che avevo litigato con i libri, poche occasioni di conoscere gli eroi della storia. L’avevo trovato nel calcio il mio eroe: Zico, numero dieci della Nazionale brasiliana, quella Nazionale che, fin da piccolo, sognavo di sfidare in una finale del Campionato del Mondo. Sappiamo tutti com’è andata… Il mio eroe più vero, l’avevo con me tutti i giorni: il mio amato papà. Diventando grande ho avuto modo di apprezzare Nelson Mandela, figura incredibile di determinazione, sacrificio, sopportazione, visione, bellezza totale. Un eroe indimenticabile. Poi, ho incontrato il mio adorato maestro Daisaku Ikeda, straordinaria figura di leader religioso che, dal 1960 ai nostri giorni, ha fatto crescere nel cuore di milioni di persone, incluso il mio, il profondo significato del messaggio buddhista. In ultimo, consentimi di inserire tra i miei eroi di gioventù Roberto Benigni. Un eroe magari atipico, capace però di regalare momenti di grande riflessione e consapevolezza con i suoi personaggi, sempre animati da sentimenti coinvolgenti, divertenti e al tempo stesso drammatici. Un grande interprete delle debolezze e delle grandezze dell’umanità. Un eroe gioioso, ironico ma mai banale. Grande Roberto!».