Sergio Caputo festeggia i 40 anni di Un sabato italiano, l’album uscito nel 1983 che lo consegnò alla popolarità. Intervistato da Leggo, il musicista romano oggi, 68 anni, ha ricordato i vecchi tempi di quei  “sabato qualunque” e “italiani” con una riflessione sugli anni Ottanta:

«Il sabato era ancora speciale, in quegli anni Ottanta. Il mito del weekend era fortemente radicato. Gli incontri – umani e artistici – che potevi fare nei locali erano incredibili, diversi addirittura per fasce orarie: sapevi che alle undici trovavi un tipo di persone e alle due un genere assolutamente differente. E stringevi amicizia con gente comune o con personaggi fuori dall’ordinario».

Grande voglia di socialità, vera, pelle a pelle.

«Una sete di vita che ti spingeva a vivere al massimo, lo stesso casanovismo – vedi le ragazze che salivano a casa in strass e scendevano in jeans – era in effetti innocuo, una dolce vita che scacciava il timore di una possibile guerra atomica. Oggi siamo tornati a quella paura lì e la sete di vita la plachiamo guardandoci sullo schermo di un pc».

Eppure, c’è chi critica ancora oggi gli anni Ottanta come tutta apparenza e poca sostanza.

«Furono anni che invece ci spinsero fuori dal tunnel dei Settanta che nel nostro Paese in particolare erano stati di lotte sociali, politiche, violenza, terrorismo. Se poi penso a cosa è stato quel decennio dal punto di vista musicale, mi sbalordisco ancora: da Sting, uno dei più grandi artisti dei nostri tempi, ai miei due miti, Sadè e George Michael per quel che fece dell’uso delle nuove tecnologie, Anita Baker, gli Eurythmics, i Simple Minds. E potrei continuare con l’elenco…».

Un altro mondo

«Chi avrebbe mai immaginato, per esempio, 40 anni fa, che sarebbe morto il diritto d’autore con una fruizione della musica chiamata streaming? Un artista non campa certo di pensione e così devi fare concerti fino a 90 anni, quasi costretto a schiattare sul palco. Allora mi sono fatto due conti anch’io e ho venduto il mio catalogo indipendente alla Sony: da un lato ho monetizzato, dall’altro affidato la mia opera a chi, devo essere sincero, la sta gestendo con grande serietà e oculatezza».