I due film di Yuppies, usciti entrambi 35 anni fa, a distanza di pochi mesi l’uno dall’altro, sono i film che hanno ritratto al meglio le atmosfere della Milano da bere degli anni Ottanta, composta da giovani professionisti trentenni-quarantenni che guadagnavano parecchio e facevano la bella vita, atteggiandosi a ricchi, con il mito dell’avvocato Agnelli, ma in fondo in fondo dei fanfaroni.

Il primo film venne diretto da Carlo Vanzina, su un soggetto scritto insieme al fratello Enrico, mentre la regia del secondo venne affidata a Enrico Oldoini, ma sempre scritto dai fratelli Vanzina. Come riportato nei titoli di testa, il secondo film è «liberamente ispirato» al primo capitolo (ovvero con alcune incongruenze di continuity), ma con lo stesso cast principale, composto da Massimo BoldiJerry CalàChristian De Sica ed Ezio Greggio. Federica Moro è l’unico personaggio femminile ad apparire in entrambi i film: tra le new entries, invece, ricordiamo Athina Cenci e Gioia Scola.

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In uno dei suoi interessanti post condivisi su Facebook, Jerry Calà ha descritto come avvenne la preparazione per quel film, che per lui comportò anche uno studio particolare in ‘avanscoperta’ a Milano:

Io, i Vanzina e Bonivento (il mio produttore di allora), eravamo sempre attentissimi a queste trasformazioni sociali, perché solo osservando ciò che ci avveniva intorno potevamo portare sullo schermo i fenomeni del momento di cui il pubblico poteva ridere. Avvenne così anche con Yuppies, nel 1986.

Carlo ed Enrico Vanzina sono diversi da tutti gli altri romani che lavorano nel cinema e credono che Roma sia il centro del mondo. I loro occhi non hanno mai perso di vista ciò che accadeva altrove, soprattutto a Milano dove, è innegabile, le cose succedono sempre molto prima. Così conobbero un gruppo di giovani professionisti che guadagnavano parecchio e facevano la bella vita, gli young urban professionals (indicati con il nomignolo di «yuppies») che da New York erano arrivati anche a Milano.

Un mondo, uno stile di vita troppo ghiotto per non farne un film che lo prendesse in giro. Il copione era pronto, e il primo a cui Enrico e Carlo pensarono fui io, precisamente per la parte che poi andò a Ezio Greggio. Ma io dissi di no, forse perché avevo un altro impegno. Dopo però ci ripensai e accettai, ma presi la parte di Giacomo, il pubblicitario.

I Vanzina mi spedirono a Milano per una settimana con l’obbligo di frequentare gli amici ai quali si erano ispirati per scrivere il soggetto. Quando li conobbi rimasi a bocca aperta.

Passai un paio di nottate con loro per capire come parlavano e come si esprimevano. Dopo qualche giorno chiamai i Vanzina e gli dissi che la realtà superava la fantasia e che i loro amici erano ben oltre quello che avevano immaginato nel copione. I due registi fecero tesoro di questa mia incursione milanese e crearono quel quartetto di «giovani professionisti urbani» che amavano scialacquare al grido di: «Posso permettermelo!», ma restavano anche loro dei cazzoni che alla fine litigavano per il conto. «E io devo pagare la bresaola che si è mangiata quella mignotta della tua fidanzata?»

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