Quasi 40 anni di carriera per Claudio Amendola, che, sulle colonne del “Corriere della Sera”, si è raccontato in una nuova intervista, fresco anche del suo ritorno in tv con la fiction “Nero a metà“, in onda ogni lunedì su Rai Uno.

Sugli inizi come attore, ha raccontato:

«Mia madre mi disse che il regista, Franco Rossi, cercava un ragazzo con una faccia tipo la mia. Io non ci pensavo, non avevo il sacro fuoco della recitazione, pensavo che avrei fatto qualcosa prima o poi. Meglio poi. Tipo l’intrattenitore nei villaggi Valtur. Andai al provino come a un colloquio per fare il commesso, più per fare un favore a mamma. E mi sono trovato in un letto con Barbara De Rossi. Poteva andare peggio».

Per dare spazio alla carriera, Amendola non ha portato a compimento i cinque anni di liceo.

«Ormai è un dato di fatto acquisito, ho passato la fase in cui me ne facevo un cruccio. Me ne sono fatto una ragione. E anche quella in cui me ne vantavo, per fortuna. Ci sono lacune che, senza la scuola, non recuperi più. Come la filosofia, la letteratura, cose che è giusto studiare da giovani, quando sei una spugna. Poi ci puoi provare ma non hai più la voglia o il tempo necessario per recuperare. O forse lo troverò, chissà?».

Tra le cose  che dicono di lui e che più lo infastidisce, ce n’è una:

«Quando, è capitato raramente ma è capitato, sono stato descritto come arrogante, coatto veramente. Non lo sono, lo faccio al cinema. Lo ritengo una calunnia e mi ferisce. Sono uno pacato e accondiscendente, fino a un limite che non permetto a nessuno di superare. Ho grande rispetto per il lavoro di tutti. Contano molto i rapporti che hai con tutti quelli che lavorano con te. Mica mi danno retta solo per il faccione mio, come diceva Sordi».

Tra i suoi rimpianti professionali c’è quello di aver rifiutato di partecipare al film “Il bagno turco” di Ferzan Ozpetek.

«Perché non mi credevo giusto, non pensavo di essere capace, non avevo capito Ferzan, perché sono un cog**one. Non ero abbastanza maturo per capirlo».

Infine, un ricordo di Carlo Vanzina, “suo maestro”

«Il cinema suo e di Enrico faceva storcere il naso a quella sinistra di cui faccio parte anche io. Dava fastidio che i loro film, soprattutto quelli sull’edonismo degli anni Ottanta, raccontassero il Paese in maniera più diretta di quelli di tanti autori. Non gli è stato riconosciuto che aveva su questo Paese un occhio più disincantato e più vicino alla commedia dei grandi maestri di tanti loro colleghi. Hanno avuto anche un altro merito. Lo hanno fatto incassando anche soldi. Ci ha fatto lavorare e guadagnare tutti. Come pure Vittorio Cecchi Gori».