Gigi D’Alessio è stato intervistato dal Corriere dove ha raccontato alcuni aneddoti riguardante la sua carriera e i suoi progetti futuri, ecco un estratto.

Sarà capitato anche a lei un concerto sfigato, con pochi spettatori.

«E invece no. Perché la gavetta, tanta, l’ho fatta da musicista, componevo pezzi per gli altri, ero un piccolo Mogol, un “Mogolino”. Una sera, in auto con Merola, gli chiesi: “Se scrivo una canzone per voi, la cantereste con me?”. “Perché guagliò, tu saje pure cantà?”. Il duetto, che infilai nel mio primo disco, si chiamava Cient’anne. Appena uscì, in tre ore a Napoli era diventato come Yesterday dei Beatles. E quando al mio debutto in concerto, nel 1993, al teatro Arcobaleno di Secondigliano, vidi i bagarini davanti all’ingresso, capii che era successo qualcosa di bello. Certo, era una fama circoscritta, un chilometro dopo Caianello non mi conosceva nessuno».

I critici musicali con lei erano piuttosto schizzinosi, la relegarono nella categoria dei neomelodici e arrivederci.

«E li ringrazio, mi hanno dato la forza di non mollare. Quando sono andato a Sanremo, anno 2000, sembrava che fossi appena sceso dal barcone, contro di me c’era razzismo culturale, come se potessi cantare soltanto di vicoli e sceneggiate. Che poi in Non dirgli mai c’era una sola frase in napoletano. E oggi in molti conservatori la studiano come trattato di armonia».

Che ricorda di quel Festival?

«Per farmi volere bene dall’orchestra portai duecento sfogliatelle. Per me era come andare a Lourdes. In gara con Gianni Morandi, con Giorgia. “Sarò all’altezza?”. Nelle pagelle dei critici il voto più bello fu zero. Mi piazzai decimo».

Manco male, dai.

«Però il lunedì successivo ero già disco di platino, restai per 54 settimane in classifica, di cui 13 al primo posto, vendetti 1 milione e 200 mila copie. Un attimo sei niente, quello dopo sei tutto. E di colpo tutti ti cercano, tutti ti apprezzano, da c… diventi cioccolata».