Il film

Uscito nel 1986, scritto e diretto da Pupi Avati. Presentato in concorso alla 43ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, il film guadagnò critiche lusinghiere e fece vincere a Carlo Delle Piane la Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile. Il film è famoso anche per essere il primo ruolo drammatico di Diego Abatantuono.

La trama

È la vigilia di Natale e tre vecchi amici, Ugo, Lele e Stefano, si incontrano la sera per giocare una partita a poker. Invitano al gioco, sotto consiglio di Ugo, anche un misterioso industriale, l’avvocato Antonio Santelia, della cui vita privata poco si conosce tranne il fatto che ama giocare ed è noto nel giro per le ingenti perdite.

Lele lavora per un giornale e scrive di cinema, è bistrattato da colleghi e superiori e, la sera di Natale, spera di poter vincere una somma sufficiente a permettergli di pubblicare il suo libro su John Ford. Stefano ha una palestra ma, nonostante abbia una relazione con una donna, viene palesata la sua omosessualità. Ugo lavora presso una televisione privata, è divorziato da anni e ha quattro figli. Tutti e tre però non hanno le risorse economiche necessarie per battere Santelia e insieme prendono la decisione di chiamare un loro vecchio amico, Franco Mattioli. Egli infatti è gestore di un importante cinema di Milano ed è l’unico dei quattro a possedere apparentemente le risorse finanziarie per contrastare l’avvocato…

Un ruolo importante

La parte di Franco Mattioli lanciò Diego Abatantuono, trasformandolo da maschera comica in decadimento a grande attore drammatico e brillante, mettendo in piedi di fatto la carriera che conosciamo bene. Ma all’inizio questa possibile venne data ad un’altro grande comico anni ’70-’80.

Uno dei nostri pokeristi doveva essere Lino Banfi”  racconta il produttore. “Banfi si era rivelato la spalla ideale della Fenech, emblema dell’italiano di provincia, cresciuto nel dopoguerra delle superstizioni e dei complessi, assalito dagli irrealizzabili sogni erotici che ci hanno raccontato Fellini e Brancati.”

“Banfi accettò con entusiasmo, poi – capita nel cinema – ci tradì all’ultimo secondo per un film minore di un grande regista come Dino Risi: “Il commissario Lo Gatto”. Nel panico, ci consolò la filosofia di Luciano: invece di disperarci, «Morto ’n papa se ne fa n’artro». Bisognava pensare a qualcuno che nella categoria «attori», sotto la voce «considerazione della critica» fosse caduto ancora più in basso. Ma chi poteva essere lo sventurato? Il rischio di compromettere un copione perfetto c’era, e grosso. Il nome magico, in quelle sedute a tre trasformatesi in un consulto psicanalitico, fu pronunciato da Pupi: «Diego…». Lo guardammo. «Mica dici Abatantuono?».”