Trent’anni fa, il 24 novembre del 1991 si spegneva consumato dall’Aids, a Garden Lodge, la sua villa di Londra, Freddie Mercury. Da quel momento, il leader dei Queen è entrato nel mito e la sua fama, con il passare degli anni, si è ingigantita tanto da diventare simbolo di un’intera generazione. Lo sa bene Cesare Cremonini, che ha il volto del frontman dei Queen anche tatuato sul braccio e che rivela a “Repubblica” come la figura di Mercury abbia influenzato il suo percorso d’artista:
“Freddie Mercury è la figura artistica alla quale devo la mia natura, il mio dna è foraggiato attraverso alcune caratteristiche che ho assimilato in età preadolescenziale e che sono rimaste. La principale è il suo rapporto con il pubblico nei live. Cantare è una cosa che si può imparare, scrivere canzoni no ma si può migliorare, stare sul palco invece no, o ce l’hai o non ce l’hai. È un rapporto che crei in un momento preciso e spesso accade quando tu nella tua testa rivivi e impersonifichi il tuo più grande mito. C’è un Freddie dentro di me ogni volta che salgo sul palco. Non c’è un altro. Il che non vuol dire che io debba misurarmi con un fuoriclasse come lui, però il mio palco è anche il palco di Freddie, è una continuazione con ciò che mi ha illuminato il volto quando avevo 11, 12 anni.”
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“Se c’è qualcosa che mi ha portato negli anni Settanta musicalmente e poi mi ha fatto amare tutti quegli anni è il periodo dei primi quattro dischi dei Queen. Quella parte di me meno rigida e più amante del luccichio, del glam, della giocosità, dell’erotismo della musica mi viene da lì. I Queen non avevano in sé nulla di sociale. Mi hanno regalato la spensieratezza di brindare a champagne con il pubblico, che io poi ho anche abbinato all’aspetto sociale derivante dall’ascolto dei cantautori. Mi ha dato questo equilibrio.”