È uscito da qualche settimana su Netflix We Are The World, la notte che ha cambiato il pop, il documentario dedicato  all’indimenticabile seduta di registrazione del brano We are the World che vide impegnate oltre 45 star, tra le più famose dell’epoca. Registrata tutta il 28 gennaio 1985, dalle 22 di sera fino all’alba, la canzone fu scritta da Lionel Richie – anche voce narrante e produttore del documentario – insieme a Michael Jackson, prodotta da Quincy Jones e Michael Omartian.

Nel doc, tra filmati di repertorio, testimonianze dei protagonisti e interviste agli addetti ai lavori, si apre un dietro le quinte ricco di aneddoti su una delle imprese benefiche più riuscite della storia della musica. Tra gli spezzoni più celebri di quella registrazione c’è sicuramente quello di Bob Dylan che appare estremamente a disagio in mezzo agli altri artisti. Nei cori ha un’espressione quasi sconsolata che negli anni è diventata famosissima. Ma perché? Nel documentario si va più in profondità sulle ragioni del suo nervosismo, con una scena molto toccante in cui si vedono Quincy Jones, maestro nel metterlo a suo agio, e Stevie Wonder, capace di imitare la sua voce e indirizzarlo verso il modo giusto per cantare i versi. Dylan è in evidente difficoltà, non sa come prendere le due semplici frasi che gli toccano, “there’s a choice we’re making, we’re saving our own lives”. Forse è una questione di intenzione, di intonazione, di attacco, forse c’è troppa gente in studio per i suoi gusti.

Dylan viene poi lasciato solo a registrare la sua parte solista e infine ci riesce. Ciò nonostante, forse intimorito dalle grandi voci che partecipano al progetto, commenta «non era buona», prima di essere rassicurato da Jones che gli risponde «no, era fantastica» e abbracciato da Springsteen che gli dice «bravo, Dylan».