Cesare Cremonini si racconta in modo profondo ed intenso a “Vanity fair”: la sua carriera, la sua musica ma anche la sua famiglia, le sue gioie e i suoi dolori. Tra queste la perdita del padre, come lui stesso racconta:

“Quando ho perso mio padre mi sono ritrovato più fragile, e solo, ad affrontare i giorni che conosciamo tutti. Avevo smarrito i miei riferimenti maschili e forse anche per questo mi sono rifugiato nella femminilità, una grande risorsa. La musica mi ha guidato e io mi sono sempre fidato di lei. Sono un uomo che vive di prospettive e l’assenza di prospettive per me è come uccidere il bambino che sognava un avvenire sorridente. Mi ruba l’inconscio questa cosa. E senza inconscio cosa siamo?”.

La figura del padre è ricorrente all’interno della sua scrittura, Cesare spiega il perchè:

“Ho avuto una storia famigliare attraversata dallo spettro del dolore psichico. Io con la musica ho potuto reagire e sento una grande responsabilità per questo. Anche se il rischio è stato grosso. Ho rischiato di perdere il mio mondo. Ho una spina nel cuore. È come se sentissi che per potere godere a pieno della mia vita io debba prima occuparmi della cosa più importante, gli altri”.

Cremonini spiega, anche, come vive i ricordi:

“Diciamo che vivo in mare aperto. E vivere in mare aperto significa che a un certo punto c’è bisogno di crearti una nuova memoria, perché quella che avevi è finita per intero nelle canzoni.”

E quando gli chiedono com’era Cesare da bambino, lui sorridente risponde:

“Irrequieto, sensibile. Scrivevo poesie anziché studiare. E mia madre, convinta nascondessi chissà quanti problemi e segreti, sequestrò tutti i miei fogli per far analizzare a un esperto la mia grafia. Quando le dissero che non c’era nulla di strano ci rimase male”.