Diego Abatantuono si è raccontato in una nuova intervista a Il Messaggero in occasione dell’uscita del film d’animazione Il mostro dei mari, che sarà disponibile a partire da venerdì su Netflix e al quale presta la voce ad uno dei personaggi protagonisti.

 «Con le navi ho un legame speciale: mio padre costruiva galeoni in miniatura – ha raccontato Abatantuono – Ho la casa invasa, ne ho uno anche sul frigo in cucina. Fu così bravo da riuscire ad aprirsi un negozio di modellismo e venderli». E ha aggiunto: «Se ci dovessi essere a borso starei in cambusa probabilmente. Ma su una nave ci vivrei volentieri. Da quando sono bambino ho sempre amato l’avventura: il cappa e spada, i pirati, i film di Maciste. L’importante era che ci fosse una spada da qualche parte».

La conversazione si è poi spostata sulla sua carriera e sulle occasioni mancate che, ammette l’attore, non crede di aver vissuto:

«Non sono sicuro di averne una. Nella vita ho sempre fatto quel che ho voluto. Il mio obiettivo era non avere rimpianti. Ho messo al primo posto la famiglia, volevo stare con loro. Da giugno ad agosto, per questo, non ho mai lavorato. Non è stato facile».

C’è però un rimpianto: «La regia. E il teatro. Avrei voluto farne di più. Il mio problema è che sono troppo pigro, faccio due film all’anno e mi basta. La regia assorbe tempo. Tutto ciò che mi fa cambiare le abitudini mi affatica».

Tempi effettivamente lontani da quelli del passato, confessa: «Facevo tanta roba. Ai tempi di Attila, 14 film in due anni. Se avessi avuto un agente oculato ne avrei fatto uno e poi sarei stato fermo per due anni: il primo film incassò otto miliardi di lire. Ma ero giovane e sprovveduto, e il mio agente scaltro: fece un ragionamento sulla sua carriera, non sulla mia. Diventò lui Checco Zalone, non io».