Undici anni fa, uno stanco John Rambo faceva il suo ritorno a ‘casa’ nel finale di quello che si presumeva essere il capitolo conclusivo di una saga fortunata, cominciata e resa storica da Sylvester Stallone nel lontano 1982. 

E invece, così come accaduto con il filone Rocky – l’altra colonna portante della carriera di Sly – ecco che si è deciso di aprire un’ulteriore finestra nella storia di Rambo e di aggiungere una nuova pagina cinematografica che riporta all’azione l’iconico ex veterano di guerra, nonché amato eroe americano. 

Non più giovincello, ma anzi giunto nel pieno della terza età, il Rambo di Last Blood vive le sue giornate nella campagna dell’Arizona, nel ranch dapprima appartenuto a suo padre. A fargli compagnia in tutti questi ultimi anni di ‘pensionamento’ una sua cara amica, Maria e la sua nipote adolescente, Gabriela, a cui l’ex soldato del Vietnam vuole bene come una figlia. 

John passa le sue giornate in una calma apparente, sistemando la stalla del suo ranch, addestrando i suoi cavalli, e gestendo il suo rifugio sotterraneo. Tale quiete familiare viene scossa quando Gabriela, la ragazza, decide di andare in Messico contro il volere di tutti per incontrare il suo vero padre che l’ha abbandonata da piccola. Il suo futuro rapimento da parte di un gruppo di trafficanti sarà occasione di una sanguinosa vendetta da parte di zio Rambo, il quale dimostra di avere ancora un inferno bruciante dentro, soprattutto per una vicenda tutta privata che riguarda gli affetti più intimi.

Un film all’insegna della violenza che non dà epicità alla saga

Se ci chiedevamo quale aspetto ci mancasse ancora di vedere riguardo la vita di John Rambo, la risposta è quella degli affetti familiari. Nei film precedenti, Rambo è sempre stato solo, occupato a combattere guerre per altri e sempre sfortunato non appena riusciva a costruirsi un legame che potesse durare. Per la prima volta lo vediamo veramente attaccato a qualcuno e capiamo che tutto l’amore che è capace di dare è equamente proporzionato all’odio che può far fuoriuscire se quell’amore gli viene portato via. Un odio e una sete di vendetta che fanno spavento, tradotti in un’esagerata violenza che rendono questo quinto capitolo un crudo splatter. Il film scorre nei suoi tre atti, è lineare e dopo l’evento chiave della parte centrale si capisce dove andrà a parare, ma stupisce per come viene messo in atto. Unisci lo splatter di Saw e alcune coreografiche trappole alla Mamma ho perso l’aereo ed ecco che avrai l’ultima mezz’ora di Last Blood, scritta unicamente per scatenare urla e applausi da tifoseria.

Se in un film concepito per dare un degno finale alla saga manca anche il minimo senso di epicità, allora significa che l’obiettivo è fallito. Ed è quello che succede qui. Questo Rambo potrebbe semplicemente essere un film a sé, un action in cui si tifa che la vittima usurpata uccida tutti (e anche se non ami particolarmente la violenza, sei trasportato in questo bagno di sangue), ma manca, purtroppo, di spessore. Sono lontanissime anni luce le riflessioni, le tragedie e il senso di alienazione che ci aveva regalato First Blood.

Bisogna anche dire che in tempi come quelli di oggi appare deprimente la meschina stereopatizzazione data alla comunità messicana, mostrata come un covo di stupratori e spietati trafficanti dediti alla prostituzione. Un film filo-Trump, per intenderci, il cui tuffo nell’odio e nella rabbia ci lascia perplessi sul dove possa condurre in questi giorni. Nonostante sia diverso da come ce lo aspettavamo, resta un must see per tutti gli amanti dell’irriducibile reduce del Vietnam.