Uno dei film che rimangono più impressi della commedia anni 80 90 è Rimini Rimini, film italiano del 1987 diretto da Sergio Corbucci. Il film fu un grande successo al botteghino e registrò un incasso pari a 2.876.906.000 lire. La versione cinematografica dura 114 minuti ed è stata pubblicata in home video in VHS e DVD. In televisione, sui canali Mediaset, sono passate due versioni più lunghe del film; una da 143 minuti e una da 170 minuti. Nel cast oltre a Paolo Villaggio, Lino Banfi e Serena Grandi troviamo Jerry Calà che ha avuto modo di ricordare il film nel suo libro “Una Vita da Libidine“. L’attore ha voluto sottolineare il brutto trattamento riservato a una diva del cinema italiano Sylvia Koscina e ha raccontato come è nato il suo tormentone “è tanto che aspettavo un’occasione così”.

(Clicca qui per leggere Serena Grandi: “Ancora oggi mi fermano per strada e replicano il verso del gatto che faceva Villaggio”)

IL TORMENTONE

In una delle pagine del libro verso la fine Jerry Calà parla di come ha realizzato il tormentone «È tanto che aspettavo un’occasione così!». 

Proprio nel finale della mia parte in Rimini Rimini, prima di salire sull’auto con Sylva, lanciai il mio ennesimo tormentone: «È tanto che aspettavo un’occasione così!»

C’è da fare una precisazione: questo tormentone in realtà non era la prima volta che veniva recitato. Nello spot della Opel del 1986 un’attrice ripete lo stesso slogan quindi molto probabilmente lei stessa sarà stata fonte di ispirazione per Jerry Calà.

SYLVA KOSCINA E I PROBLEMI SUL SET

Jerry Calà, nello stesso capitolo del libro, ha parlato anche della grande Sylva Koscina che interpreta la sorella del magnate con il quale l’attore deve stipulare un contratto. Dalle sue parole si evincono dei problemi sul set:

Rimini Rimini non era un film a episodi ma aveva di- verse storie intrecciate, per cui non incontrai mai gli altri (tanti) attori che vi presero parte. Io recitai con Giuliana Calandra, bravissima attrice di teatro, e incontrai un mio mito: Sylva Koscina, sogno erotico della mia adolescenza e di quella di milioni di italiani. Era ancora bellissima e sempre diva. Aveva il vezzo di girare avvolta in un asciugamano che teneva fermo con una mano.
C’è però un elemento poco piacevole nel ricordo che ho dell’incontro con Sylva Koscina, e non certo per colpa dell’attrice. Colpa semmai del comportamento cafone tipico di un certo cinema italiano che, a differenza di quanto avviene con gli americani o i francesi, non ha alcun rispetto per attrici e attori che hanno anche una storia notevole alle spalle. Un mattino vidi che la Koscina si aggirava spaesata. «Non so dove andare a cambiarmi», mi disse. Rimasi senza parole. Nessuno aveva pensato ad allestire un camerino per lei. Cosa pensavano, che una diva di cinquantaquattro anni si cambiasse sotto l’ombrellone? Andai a chiedere ai segretari di produzione che, per non avere fastidi né prendersi responsabilità, dissero: «Se cambi dove je pare».
Alla fine offrii la mia roulotte a Sylva, che me ne fu molto grata. Ed era la Koscina, una talmente famosa che a cinque anni dal suo primo film già poteva interpretare se stessa come fece ne Il vigile, accanto ad Alberto Sordi.
Chissà se quando Sylva ci ha lasciati, nel 1994, quei direttori di produzione hanno letto gli articoli che i giornali di tutto il mondo le hanno dedicato. Chissà se si sono resi conto di chi avevano trattato così male. Ma voglio chiudere il mio ricordo di lei con un aneddoto divertente. Proprio nel finale della mia parte in Rimini Rimini, pri- ma di salire sull’auto con Sylva, lanciai il mio ennesimo tormentone: «È tanto che aspettavo un’occasione così!»