Troppo forte è una commedia scritta, diretta e interpretata da Carlo Verdone.

Il film

Nella periferia di Roma vive Oscar Pettinari (Carlo Verdone), un giovanotto che si atteggia da bullo e sogna di entrare nel mondo del cinema. Con la sua moto si reca spesso negli studi di Cinecittà, dove però riesce a essere scritturato solo per piccoli parti da stuntman in film di serie b.
Un giorno, dopo l’ennesimo provino andato male per un importante produzione americana, il ragazzo incontra per caso il bizzarro avvocato Giangiacomo Pigna Corelli (Alberto Sordi), il quale gli consiglia di vendicarsi del produttore truffandolo. L’idea è di simulare un incidente con la moto di Oscar e la macchina del produttore, per farsi poi dare i soldi dell’indennizzo: sfortuna vuole però che alla guida della Rolls Royce ci sia l’attrice Nancy (Stella Hall), che rimasta ferita al volto, perde la parte nel film.
La giovane donna americana, ora sola e senza soldi, si rivolge ad Oscar – in realtà ragazzo dal carattere bonario – il quale la ospita a casa sua e tra i due inizia a nascere una forte amicizia.

Il ruolo di Alberto Sordi

La parte del legale preda di crisi di memoria era stata in origine pensata da Verdone per Leopoldo Trieste, storico caratterista del cinema italiano, il quale ne avrebbe dovuto dare un’interpretazione meno invadente e più dimessa, ovvero un «avvocaticchio» maggiormente in linea col registro stilistico della pellicola.

Racconta Verdone ad ilgiornaleoff.it: “Poi, il produttore del film, non so, cose loro, forse un contratto rimasto in sospeso, mi chiama e mi fa: “il film lo fa Sordi!” E io: “ma non c’entra niente!” Abbozzai. Dovetti abbozzare con Sordi e lui fece di tutto per far ridere ancora. Aveva un paura matta di non far ridere più, di venire scavalcato da questa ondata di nuovi comici.

Sordi volle marcare il ruolo con una parlantina alla Ollio (ricalcando quel Mario Pio che, nel secondo dopoguerra, aveva contribuito a portarlo alla ribalta nei suoi esordi radiofonici). Una scelta «ibrida» che, a posteriori, non fece amare in toto a Verdone questa sua opera:

«Io devo molto a Sordi, ho la massima stima di lui ma credo che in quel film abbia sbilanciato l’intero racconto […] ha buttato un po’ in farsa quello che era uno sguardo ironico già abbastanza forte per conto suo sul mondo dei coatti romani. Ha dato un tono farsesco che non si sposava con i personaggi che avevo scelto e con il tono di regia che avevo deciso. […] è un film riuscito a metà perché siamo andati su binari diversi: Sordi è andato da una parte e io ho proseguito sull’altra.»