Intervistato da “Il Corriere della Sera” alla viglia della pubblicazione della sua autobiografia “Una storia“, Luciano Ligabue racconta la sua storia, quella più intima, personale e famigliare. Un pensiero va, perciò, a suo figlio Leon, il suo secondogenito avuto con la compagna Barbara e che nacque morto:

“Ce lo fecero vedere. Me lo ritrovai in mano: un affarino di un chilo. Aveva i tratti della mamma. La voce di bambina della Barbara disse: è perfetto. L’ho fatto seppellire in un cimitero che ha un angolo chiamato degli angeli. All’inizio la Barbara ci andava tutti i giorni. Si sentiva come se il suo corpo fosse diventato marcio, incapace di dare la vita… Un pensiero ingiusto, ma il suo ‘sentire’ la faceva stare così. Solo chi ci è passato lo capisce”.

A cinque anni Ligabue rischiò di morire per un’operazione sbagliata alle tonsille, se ne accorse mamma Rina:

“Aveva preteso di passare la notte con me in ospedale. Mi scossero, e vomitai tutto il sangue che stavo ingurgitando. Emorragia. Mancava il plasma del mio gruppo, me lo donò una suora. Forse il senso di colpa viene anche da lì, dal sangue della suora…”.

Una malinconia che ha sempre portato nei suoi concerti e nelle sue canzoni. Tra i tanti aneddoti c’è anche quello legato alla nascita di “Certe notti”, uno dei suoi brani più iconici:

“È nato dall’inquietudine. Dall’irrequietezza. Sono le notti in cui devi uscire perché non sei in pace con te stesso, cerchi di risolvere qualcosa. Anche quella è una canzone fraintesa. Quasi tutte nascono da un disagio personale che mi consente di far arrivare agli altri quel che provo”. 

E sulla presunta rivalità storica con Vasco Rossi racconta:

“È una storia da cui mi è venuta una grande sofferenza. Ma nulla e nessuno riusciranno a farmi diventare antipatico Vasco Rossi. L’ho sempre rispettato, e lo rispetterò sempre”