Il tanto discusso “Lockdown all’Italiana” diretto da Enrico Vanzina stesso, per la prima volta in cabina di regia, arriverà domani nelle nostre sale. Prima di analizzare il film, parliamo della trama: nel tanto recente quanto storico 8 marzo 2020, un ricco avvocato (Greggio) viene cacciato di casa dalla moglie (la Minaccioni) a causa di una relazione clandestina avuta con una cassiera di periferia (Martina Stella). Nel frattempo anche a casa della cassiera succede il finimondo dopo che il suo ragazzo (Memphis) scopre a sua volta il tradimento. Con le valigie in mano, pronti a lasciare i rispettivi congiunti (giusto per rimanere in tema), vengono fermati dal Telegiornale che annuncia il famoso lockdown. Ed ecco qui impostate le due situazioni che si intrecceranno – neanche troppo – per dare vita a questo film. Due situazioni differenti, di due ceti sociali differenti, con due coppie che non si sopportano.
Ora, come immaginavamo il film basa quasi tutti i dialoghi e gli sketch su quello che noi Italiani abbiamo passato in quei tre mesi di quarantena. Le autocertificazioni, la passeggiata col cane, il virus sotto le scarpe, i parrucchieri chiusi, le file al supermercato. Vanzina imposta il film su questi pilastri a noi tanto familiari. Nessuno critica il fatto di aver girato una commedia sul lockdown: il problema è che non funziona. Il budget era limitato e la troupe ridotta, come il tempo a disposizione. I difetti però sono soprattutto di scrittura, e visto che Enrico ha detto di aver scritto la sceneggiatura in quarantena, lì di tempo ce n’era eccome a disposizione per poterla migliorare.
Il film sembra un punto d’incontro tra la classica commedia Vanziniana, fatta di corna, tempi comici invecchiati, cilecche sotto le coperte, e un film neorealista, svolto dentro le quattro mura, che cerca di fare un punto sulla situazione sociale di quel momento attraverso i propri personaggi. Il risultato è un ibrido imbarazzante che non funziona né da una parte e né dall’altra. Portabandiera di questo discorso sono Ezio Greggio con un monologo drammatico sui tetti di Roma e Riccardo Rossi con un’altra scena simile fuori luogo (e anche fuori fuoco): due sequenze che risultano semplicemente non credibili, per come sono state recitate ma soprattutto per come sono state scritte.
Poco volgare e genuino, il film tenta di far ridere non riuscendoci quasi mai. Le poche situazioni che strappano un sorriso sono dovute alla bravura della Minaccioni e della sempre apprezzata spontaneità di Ricky Memphis. Riteniamo il film un’occasione sprecata: si è tentato di uscire fuori dai soliti schemi è vero, ma il risultato cringe è più forte di ogni buona intenzione.
C’è da dire una cosa però: il film, che piaccia o meno, segnerà un pezzo importante della nostra storia. Un film girato sotto Coronavirus a pochissimi mesi di distanza dal lockdown, bello o brutto che sia, sarà un riferimento storico per le generazioni presenti e future. E su questo Enrico Vanzina, ha fatto centro.
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