Il film

Un pistolero solitario senza nome arriva su un mulo in una cittadina messicana di frontiera, divisa in due fazioni violente, e vende i suoi servizi al migliore offerente, mettendo gli uni contro gli altri. La vicenda è ricalcata su quella di La sfida del samurai (Yojimbo, 1961) di A. Kurosawa, ma le sue fonti sono anche Goldoni e la Commedia dell’arte (Arlecchino servitore di due padroni) e persino Shakespeare e il teatro elisabettiano di cui riprende l’intrigo machiavellico, l’umorismo macabro, il décor teatrale. Erano già stati prodotti alcuni western in Italia, ma quello di Sergio Leone (lo pseudonimo Bob Robertson è un omaggio al padre Roberto Roberti, regista del muto) è il primo western all’italiana che piacque alle platee popolari come a quelle borghesi proprio perché non assomigliava ai western americani. Costato 120 milioni, incassò quasi 2 miliardi e fu venduto in mezzo mondo. Il suo successo aprì nuove prospettive nell’impiego della violenza sullo schermo di cui si giovarono altri registi come Peckinpah e lo stesso Kubrick. Fotografia di Jack Dalmas (Massimo Dallamano), musiche di Dan Savio (Ennio Morricone), scene e costumi di Charles Simons (Carlo Simoni). J. Wells è Gian Maria Volonté.

Leone/Eastwood

Sergio Leone aveva fatto richiesta di nomi altisonanti, a partire da star come Henry Fonda, James Coburn e Charles Bronson. Tutti rifiutarono seccamente, quasi con scherno, di fronte a un regista italiano, semisconosciuto anche in patria, che mai aveva girato un western e poteva offrire un compenso irrisorio. I produttori furono così costretti a raccomandare un giovane attore americano che stava girando una serie televisiva, Rawhide.

Leone acconsentì solamente perché, fino ad allora, era l’unico attore americano disponibile a quella cifra, ma rimase subito affascinato dalla lentezza e la “pigrizia” che il giovane Clint trasmetteva sul piccolo schermo. Pochissime parole, un’aria quasi stanca, sguardi intensi e, con la pistola in mano, rapido e velocissimo come un serpente.

Clint Eastwood, dal canto suo, era in ristrettezze economiche. Rimase colpito dalla scelta del soggetto, ispirato alle storie epiche dei samurai giapponesi, e decise di correre il rischio di recitare in un film di poche prospettive. Probabilmente in America non l’avrebbe mai visto nessuno.

L’incontro tra Leone e Eastwood è ancora nella leggenda. Nessuno dei due parlava la lingua dell’altro, e la comunicazione avveniva mediante interpreti e a gesti.
Leone decise di trasformare il giovane attore da un bravo ragazzo con la faccia pulita a un vero personaggio western. Barba incolta, poncho, vestiti sobri, ampio cappello e, gran tocco di classe, sigaro toscano.

Racconta però la personalità di Sergio Leone il suo famoso pupillo Carlo Verdone, con questo aneddoto:
Sergio era Autorevole. E autoritario. Si vantava di aver umiliato Clint Eastwood quando minacciava di mollare il film perché non voleva più fumare il sigaro. “Ah Clint, come niente sigaro? E che lasciamo a casa il protagonista?””