Ospite al programma “L’ora solare”, Pupi Avati ripercorre la sua carriera ricordando i suoi difficili esordi nel cinema:

“Lavoravo in una catena di surgelati. Mi permise di sposare una delle più belle ragazze di Bologna. Andavo in giro per i supermercati a promuovere i surgelati, ero un missionario. Per un po’ mi è piaciuto, perché c’era competizione e noi eravamo i migliori. Poi la cosa dopo un po’ mi stancò”.

Fu solo la visione di un film con Mastroianni ad ispirarlo e suggerirgli la via del cinema:

“Mi resi conto del ruolo del regista e della sua importanza nel raccontare le cose. Rimasi tutto il pomeriggio e tutta la sera al cinema, con la consapevolezza di cosa potesse essere il cinema. Mi precipitai al bar dai miei amici e gli dissi di andare a vedere 8½ di Fellini. Era il 1968, un anno meraviglioso, e decidemmo di fare un film: io ero Gesù che dava un ruolo a tutti gli apostoli, che stava facendo la squadra per combattere la grande battaglia”.

Un misterioso imprenditore pensò di finanziare due dei suoi film “Balsamus, l’uomo di Satana” e “Thomas e gli indemoniati”:

“Siamo riusciti a fare due film, a fare delle cose che hanno più a che fare con la favola che con la realtà. Ma sempre con il miracolo. Non voglio avere paura ad usare questa parola: nella mia vita ci sono stati dei miracoli. Non è andata sempre bene, anzi è andata spesso bene, ma la mia carriera è segnata dal miracolo”.

A oltre 50 anni di distanza, Pupi Avati comincia ad avvertire il peso del tempo che passa:

“Io ho 83 anni e non sono allegrissimo, perché sento i titoli di coda arrivare. Ho voglia di fare pace con il mondo. Un espediente che suggerisco alle persone che hanno questo timore è di convocare le persone che ti sono state care. Devi chiamarle tutte per nome. Io ne ho una marea, a cominciare dai miei genitori. Invece di fare le preghiere normali, invoco i nomi a me care e la mia follia induce delle risposte”.