Il film

Il mio West, uscito nel 1998 e diretto da Giovanni Veronesi è uno di quei film che nessuno ricorda ma che tutti conoscono. Il film vede protagonista un Leonardo Pieraccioni al centrissimo della commedia italiana anni ’90, un imprevedibile Harvey Keitel, un ancora più imprevedibile David Bowie ed Alessia Marcuzzi.
Il film è liberamente tratto dal romanzo Jodo Cartamigli di Vincenzo Pardini.

Trama

Nel 1890, ai confini col Canada, sorge Basin Field, piccolo villaggio del Far West situato alle pendici delle grandi montagne. La voce f.c. del piccolo Geremia descrive la località: le strade infangate, l’ufficio postale, la scuola, il saloon gestito dalla bellissima Mary, la casa dove lui, Geremia, vive con i genitori, la madre Perla, figlia di indiani, e il padre Doc, il dottore del villaggio. Doc ha un gran da fare tutto il giorno e, tra l’altro, interviene anche a dirimere contese tra gli abitanti, facendoli rinunciare al ricorso alle armi. Doc fuma malvolentieri il calumet dei parenti indiani, non va a caccia ed è assolutamente impreparato quando in paese, dopo vent’anni di assenza, si presenta suo padre, Johnny Lowen, pistolero di grande fama. Johnny dice di volersi riposare ma la tranquillità finisce, perché qualche tempo dopo arriva anche Jack Sikora, killer sanguinario che da anni sta inseguendo Johnny. Jack e i suoi si sistemano in paese, seminando il panico. Mary, che cerca di opporsi, viene uccisa. Johnny, che per riacquistare la stima del figlio voleva rinunciare alle armi, capisce che deve prendere una decisione. Jack lo aspetta per il duello ma è Joshua, il matto del paese, a fare fuoco e ad uccidere il killer. La tranquillità ritorna a Basin Field.


Commento

Il film è una spudorata incarnazione del buonismo italiano di fine secolo ma mascherato da Western. Pieraccioni stona per tutto il film non calandosi mai nella parte, rimanendo sempre il Pieraccioni delle commedie girate da lui: praticamente è come se fosse sempre lo stesso personaggio visto ne Il Ciclone o Fuochi D’artificio. Dietro al film c’è comunque una super produzione (costò 10 miliardi di lire; ne incassò 4), che ha permesso la straordinaria quanto folle presenza da co-protagonisti di Harvey Keitel e David Bowie. E se il primo sappiamo che ha sempre accettato sfide e produzioni particolari rispetto alla sua posizione ad Hollywood, il secondo rimane un grande mistero. Come ci insegna il Cinema però, impegnare un cast importante non basta per fare un buon film. E così il risultato finale è scarno, soprattutto perché appare eccessivamente ambizioso e allo stesso tempo finto.

La condizione di David Bowie

Ne parla così il regista in una vecchia intervista:

“L’ho corteggiato e lui mi ha risposto in 48 ore, dicendomi che ero molto pazzo ad offrirgli quel film, ma che lui era molto più pazzo di me perché accettava. L’unica richiesta particolare che ha fatto Bowie è stata di stare in una casa che non avesse cani che abbaiavano in un raggio di tre chilometri. Nella campagna toscana è difficile così abbiamo fatto una specie di retata e alcuni di quei cani sono rimasti con me nella mia vita.”

Continua Veronesi:

“Sul set non era facilissimo il rapporto, Bowie voleva parlare solo con me. Con Harvey Keitel sembravano amici ma secondo me facevano finta e con Pieraccioni si scambiava sguardi amorevoli, ma non si parlavano. A seguirlo dappertutto, c’era la sua segretaria, una specie di Mary Poppins agé, che aveva una borsa come il personaggio Disney, secondo me sapeva anche un po’ svolazzare”.